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Dalla tabella nutrizionale al piatto: come mantenere il CIBO VIVO.



Credo che il nutrizionista non debba solo limitarsi a stilare un piano personalizzato alle esigenze e al quadro clinico del paziente, ma dovrebbe anche educare a come fare la spesa e a come cucinare gli alimenti in modo tale che questi, non solo conservino le loro proprietà nutrizionali, ma anche non diventino fonte di sostanze tossiche e dannose alla salute.


Quale metodo migliore per cucinare?

Ce ne sono veramente tanti, cerchiamo di evidenziare i pro e contro dei più conosciuti.

La bollitura sicuramente è una delle metodiche di cottura più classiche ma comporta la perdita nutrizionale maggiore a carico di sali minerali, vitamine idrosolubili e termolabili (specie vitamina C e vitamine del gruppo B). Il trattamento termico causa la distruzione delle strutture cellulari e la liberazione di composti e nutrienti dai compartimenti cellulari in cui sono racchiusi. Questo ha, da un lato, l’utilità di rendere i nutrienti più biodisponibili (carotenoidi e licopene diventano 5 volte più accessibili) e digeribili (amidi e proteine) ma, dall’altro, significa che i nutrienti tendono ad uscire dall’alimento e a dissolversi nel liquido (ecco infatti perché il brodo vegetale è così pieno di gusto!). Un trucco per mantenere quanto più possibile le proprietà organolettiche e nutritive degli alimenti è di immergere l’alimento quando l’acqua è in bollore così da ridurre i tempi, di aggiungere sale (senza esagerare!) al liquido di cottura in modo da ridurre l’effetto osmotico e la fuoriuscita delle sostanze bioattive e, laddove possibile, quello di stufare l’alimento cioè cuocerlo in poco liquido, a fuoco lento e in un recipiente chiuso.

Una variante della bollitura è la cottura a pressione. L’acqua è comunque il veicolo di trasmissione del calore e la temperatura raggiunta è elevata (120 gradi) ma la pressione permette di ridurre i tempi di cottura e quindi le perdite. Questo metodo è utile, quindi, per dimezzare i tempi di cottura di alimenti come legumi, cereali integrali, patate e stufati ma poco idonea per alimenti con una struttura cellulare tenera che potrebbero andare incontro facilmente ad eccessiva cottura e denaturazione proteica.

La tradizione culinaria italiana è ricca di ricette che prevedono la cottura al forno. È una metodica versatile che sfrutta il calore secco per una cottura uniforme e piuttosto rapida, ideale anche per ricette “al sale” o “al cartoccio”. Purtroppo le temperature alte a cui siamo soliti cucinare non risparmiano i micronutrienti termosensibili ma, ahimè, la nota più dolente è legata proprio alla formazione della tanto apprezzata crosticina esterna agli alimenti. Quella crosticina è il risultato di una reazione che avviene a temperature superiori i 140 gradi e durante la quale molecole di zucchero presenti nell’alimento si combinano con proteine o grassi formando i cosiddetti prodotti avanzati di glicazione (AGEs), altamente cancerogeni e coinvolti nei processi di invecchiamento cellulare, nonché nelle patologie metaboliche, cardiovascolari e neurodegenerative. Lo stesso accade anche quando usiamo griglie o piastre o tostiamo troppo a lungo il pane (specie se fatto con farine raffinate). Suggerimenti per limitarne la produzione sono quelli di abbassare la temperatura, di non aspettare che la superficie dell’alimento imbrunisca, di proteggere l’alimento con cartoccio di carta forno naturale e di usare condimenti acidi per la marinatura dall’alimento, come ad esempio il succo di limone, il succo del pomodoro o l’aceto.

Frittura? Dipende! Sicuramente il fatto che l’alimento sia immerso in olio ne aumenta il contenuto calorico ma, d’altro canto, ne conserva le proprietà nutrizionali. A fare la differenza è il come friggiamo. Da considerare sono il punto di fumo dell’olio, che deve essere alto per evitare che la temperatura di frittura lo degradi e trasformi i grassi polinsaturi in sostanze tossiche e radicali liberi, l’acidità dell’olio e la sua capacità di resistere ai processi di polimerizzazione ed ossidazione. L’olio più adatto è quello extravergine di oliva perché ha in assoluto il punto di fumo più alto (tra i 180 e i 210), mentre l’olio di girasole, spesso usato, ha un punto di fumo a 130 gradi, quindi facilmente degradabile. Non è certo un metodo da prevedere nella pratica quotidiana ma piuttosto una sfiziosità una tantum, e da preferire la versione home made così da scegliere l’olio più adatto.

Altro metodo interessante è la cottura a vapore. Con questa metodica il calore viene trasmesso in modo uniforme e lentamente, ma non per contatto diretto con liquidi, e ciò fa sì che si preservino le caratteristiche organolettiche e gustative, evitando la dispersione di nutrienti e la produzione di sostanze nocive, già viste con le cotture a calore secco. Non richiede aggiunta di condimenti vari e, anzi, la componente grassa ha modo di “sciogliersi” per effetto del calore ed uscire fuori dall’alimento. Il rovescio della medaglia sono i tempi lunghi che, quindi, non rendono questo metodo idoneo alla cottura di carni particolarmente muscolose e ricche di tessuto connettivo. Rimane comunque la perdita di composti bioattivi particolarmente sensibili alla temperatura e all’ossigeno.

Sottovuoto e vaso-cottura: due tecniche in realtà molto usate intorno agli anni Settanta, ma la diffusione su larga scala è molto più recente, con una popolarità cresciuta nell’ultimo decennio anche grazie agli show cooking. In questi due metodi, l’alimento non è a contatto diretto né con acqua né con aria e la temperatura di cottura è tra i 65 e i 95 gradi centigradi. Questo permette di cuocere sostanzialmente senza grassi ed evitando le bruciature, notoriamente cancerogene. Altrettanto importante è la possibilità di non disperdere le proprietà nutritive dei cibi, di mantenere la morbidezza e di concentrare al massimo tutti gli aromi dei cibi, grazie ai contenitori sigillati, che favoriscono anche la fusione fra i diversi sapori presenti all’interno dell’involucro. Attenzione al fai da te e ai materiali che si usano sia per sigillare gli alimenti (usare esclusivamente plastiche certificate prive di PVC e BPA e resistenti agli sbalzi termici). Dal punto di vista di impatto ambientale, la vaso-cottura è da preferire! I limiti pratici di questi metodi sono i tempi di cottura più lunghi e la necessità di attrezzatura adeguata, specie per quantità più importanti da cuocere.

Dibattuto da anni è il microonde. Amato da molti per l’ottimizzazione dei tempi di cottura e l’assenza di condimenti, poco pratico per altri quando si tratta di cuocere grandi porzioni o alimenti con tagli grandi che non riescono ad essere interamente attraversati delle onde. Tale cottura suscita dubbi per il discorso dell’impatto che le onde elettromagnetiche hanno nell’alimento considerando evidenze relative al cambio di conformazione delle molecole di acqua. Ad oggi, comunque, ancora troppi pochi studi ne comprovano l’innocuità.

Allora, come mantenere il cibo vivo?

Senza essere “talebani” nei confronti di nulla, la raccomandazione nella quotidianità è di prediligere cotture a caldo umido, quindi bollitura, stufato, cottura a pressione, a vapore o sottovuoto. Quando abbiamo bisogno del forno sfruttiamo la possibilità di cuocere al cartoccio, ricordiamo di impostare la temperatura possibilmente al di sotto dei 140 gradi (almeno per la gran parte del tempo di cottura) e di prestare attenzione ai materiali che usiamo per cucinare: meglio vetro o ceramica piuttosto che metallo. Ricordiamo di sfruttare la capacità delle sostanze acide di ridurre la formazione degli AGEs fino ad un 50 %. Molto utili sono anche le spezie anti-glicanti come rosmarino, garofano, cannella, zenzero e curcuma. Abbiamo cura di variare la nostra dieta limitando il consumo degli alimenti che rappresentano una fonte più importante di prodotti di glicazione, quali carme rosse, formaggi, prodotto da forno, cereali raffinati, prodotti altamente industrializzati e lavorati. Scegliamo carni magre e bilanciare fonti proteiche animali e vegetali (meno soggette a glicazione). Non facciamoci mai mancare la frutta e la verdura perché ricche di antiossidanti naturali, come la vitamina C, la quercetina (mirtillo, uva rossa, mela, sedano), l’epigallocatechingallato (specie nel tè verde), la coercitina (mela e cipolla) e i fenoli vegetali (curcumina composta nella curcuma e resveratrolo che si trova nelle bucce di frutti scuri come uva, mirtilli e lamponi), che hanno dimostrato di ostacolare la formazione di AGEs ma anche di ridurne i loro effetti negativi sulla salute.

Non da ultimo, muoversi di più! Uno stile di vita inattivo può far salire alle stelle i livelli di AGEs. Al contrario, l’esercizio fisico regolare e uno stile di vita attivo hanno dimostrato di ridurre la quantità di AGEs nell’organismo.

Bibliografia

o Advanced glycation end products in food and their effects on health. Pulsen MW et al.; Food and chemical Toxicology 2013.

o Advanced glycation of cellular proteins as a possible basic component of the master biological clock. Severini F et al.; Biochemistry 2013.

o Advanced glycation end products in food and a practical guide to their reduction in the diet. Uribarri J et al.; J Am Diet Assoc 2010.

o Advanced glycation end products in commonly consumed foods. Goldberg T; J Am Diet Assoc 2004.

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